201701.25
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Con la sentenza n. 16 del 17 gennaio 2017 la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale relative al Decreto Legge  24 giugno 2014 n. 91 (c.d. Spalma incentivi).

La (nota) vicenda trae origine dalle questioni di legittimità costituzionale solevate dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio relativamente all’art. 26, comma 3, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116.

La questione di legittimità costituzionale veniva sollevata, con sessantatré ordinanze, in relazione agli artt. 3 e 41 della Costituzione nonché con gli artt. 11 e 117 della Costituzione in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1958, n. 848 e all’art. 6, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea, nella parte in cui l’art. 26, comma 3 del DL 91/2014 prevedeva che, a decorrere dal 2015, le tariffe relative all’energia prodotta dagli impianti suindicati siano rimodulate sulla base di tre prefissate opzioni, tutte peggiorative dei regimi anteriori regolati dalle convenzioni con il GSE, tra le quali l’operatore sarebbe stato, comunque, obbligato a scegliere, applicandosi, altrimenti, in via automatica, il terzo schema di rimodulazione (di cui alla lettera c).

Con altra ordinanza, sempre il TAR Lazio sollevava questione di legittimità costituzionale anche in relazione all’art. 26, comma 2 del citato DL 94/2014, nella parte in cui interviene sulle modalità di corresponsione delle tariffe incentivanti, prevedendo, «dal secondo semestre 2014», che il GSE le eroghi «con rate mensili costanti, in misura pari al 90 per cento della producibilità media annua stimata di ciascun impianto, nell’anno solare di produzione», con effettuazione del «conguaglio, in relazione alla produzione effettiva, entro il 30 giugno dell’anno successivo» si porrebbe, a sua volta, in contrasto, secondo il rimettente, con gli artt. 3, 41 e 77 Cost., per profili analoghi di lesione del principio dell’affidamento, di irragionevolezza e di incidenza su rapporti in corso con illegittima fonte normativa.

La Corte Costituzionale ha evidenziato che se è vero che l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica costituisce un «elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto», è altrettanto vero che – come chiarito dalla costante giurisprudenza di questa Corte (in consonanza anche con quella della Corte EDU) – la tutela dell’affidamento non comporta che, nel nostro sistema costituzionale, sia assolutamente interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, e ciò «anche se il loro oggetto sia costituito dai diritti soggettivi perfetti, salvo, qualora si tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionale della materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.)», fermo restando tuttavia che dette disposizioni, «al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche l’affidamento del cittadino nella sicurezza pubblica».

Nello specifico, il legislatore del 2014 è intervenuto in un contesto congiunturale nel quale – a fronte della rimuneratività delle tariffe incentivanti per l’energia solare prodotta da fonte fotovoltaica, rivelatasi progressivamente più accentuata, sia rispetto anche ai costi di produzione (in ragione del repentino sviluppo tecnologico del settore), sia rispetto al quadro complessivo europeo – era venuto specularmente in rilievo il crescente peso economico di tali incentivi sui consumatori finali di energia elettrica (in particolare sulle piccole e medie imprese costituenti il tessuto produttivo nazionale), ed ha operato, con logica perequativa, al dichiarato fine di «favorire una migliore sostenibilità nella politica di supporto alle energie rinnovabili» (art. 26, comma 1, d.l. n. 91 del 2014) e di «pervenire ad una più equa distribuzione degli oneri tariffari fra le diverse categorie di consumatori elettrici», prevedendo a tal proposito che i minori oneri per l’utenza derivanti dalla rimodulazione degli incentivi per gli impianti fotovoltaici siano, appunto, «destinati alla riduzione delle tariffe elettriche dei clienti di energia elettrica in media tensione e di quelli in bassa tensione […]» (art. 23 d.l. citato).

Quello del 2014 è stato, a parere della Corte, un intervento che risponde ad un interesse pubblico, in termini di equo bilanciamento degli opposti interessi in gioco, volto a coniugare la politica di supporto alla produzione di energia da fonte rinnovabile con la maggiore sostenibilità dei costi correlativi a carico degli utenti finali dell’energia elettrica.

A ciò aggiungasi che essendo la rimodulazione della tariffa accompagnata da altri benefici compensativi – come la possibilità per i fruitori delle tariffe rimodulate di accedere a finanziamenti bancari per un importo massimo pari alla differenza tra l’incentivo attuale e l’incentivo rimodulato [finanziamenti di cui possono beneficiare, cumulativamente o alternativamente, sulla base di apposite convenzioni con il sistema bancario, di provvista dedicata o di garanzia concessa dalla Cassa Depositi e Prestiti (art. 26, comma 5)], o come la cessione degli incentivi ad un «acquirente selezionato tra i primari operatori finanziari europei» (art. 26, commi 7 e seguenti, del d.l. 91 del 2014) – , gli investimenti restano salvaguardati dalla gradualità della rimodulazione, dalle varietà delle opzioni previste dalla legge e dalle misure compensative (che consentono di attenuare l’incidenza economica della riduzione dell’incentivazione), restandone, pertanto, assicurata l’equa remunerazione.

Con riferimento, poi, alla questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione al comma 2 dell’art. 26 Dl 41/2014, la Corte si è richiamata alle argomentazioni già svolte in relazione al comma 3 della medesima norma, evidenziando, per altro, che la nuova modalità di pagamento delle tariffe incentivanti – introdotta dal suddetto comma 2 dell’art. 26 (con riguardo anche agli impianti di potenza inferiore ai 200KW) – non è tale da penalizzare gli operatori del settore, ai quali anzi garantisce, a regime, una maggiore certezza e stabilità dei flussi finanziari, per effetto del previsto meccanismo di anticipazione-conguaglio, basato sulla corresponsione di rate mensili, di importo costante, corrispondenti al «90 per cento della producibilità media annua stimata di ciascun impianto, nell’anno solare di produzione» e successivo «conguaglio, in relazione alla produzione effettiva, entro il 30 giugno dell’anno successivo».

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